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Big in Korea della compagnia Maniaci d'Amore in scena ai Fabbri



Annalisa Perini / TRIESTE


Il territorio del "quasi", nell'attesa, o nell'eterna favola, e la scusa, di dover sentirsi veramente pronti, può espandersi all'infinito sino a coprire l'intera superficie dell'esistenza? È la domanda al centro di "Big in Korea" in scena al Teatro dei Fabbri venerdì e sabato, alle 20.30, nella rassegna di drammaturgia contemporanea AiFabbri2.


Lo spettacolo proposto da Kronoteatro in coproduzione con Teatro nazionale di Genova è scritto da Francesco d'Amore e Luciana Maniaci della compagnia Maniaci d'Amore ed è interpretato da Tommaso Bianco e Maurizio Sguotti. Il disegno luci è di Alex Nesti.

Realizzato con il sostegno della Residenza artistica Vettori della Contrada, narra, attraverso il rapporto sfuggente tra un giovane e il suo anziano allenatore di calcio, un momento di soglia della vita. "Quel" momento, in cui si è quasi pronti, a spiccare il volo, a mollare la presa, a entrare nella vita o a lasciarla. E per alcuni, racconta "Big in Korea", il piano concreto dell'esistenza è poco più che una gabbia e l'unica chiave per forzarla si trova sul confine della follia. Per il "mister" e l'aspirante calciatore protagonisti dello spettacolo, infatti, lo sport non è più una pratica, ma un linguaggio puro, una grammatica relazionale o forse un mondo fantastico che solo loro abitano.


E "Big in Korea" si propone come l'intrigante analisi di questo particolare rapporto umano, caratterizzato da un'ombra di sadismo, mentre la rappresentazione è leggibile come una sorta di "menzogna vitale" ibseniana che intende coinvolge emotivamente lo spettatore. Maestro e discepolo da decenni si trovano sì ogni domenica al campetto del paese, ma non si allenano mai. Il loro è soltanto un lungo apprendistato teorico aspettando quando potranno cominciare a giocare. Non è ancora arrivato "quel" momento. E in quell'ora di studio, mera speculazione, il mister e l'allievo favoleggiano, insieme, a proposito del posto in cui andranno un giorno, la Korea. Lì, a quanto pare, è possibile per un anziano infermo e un uomo che ha superato i 35 anni essere considerati ancora idonei per iniziare una carriera. Lì saranno, finalmente, grandi. Così quel campetto del paese è un perimetro ristretto, alle soglie del quale si parla soltanto del poter spingersi oltre. Non si svolgono, concretamente, l'idea del movimento, dell'area di gioco, della corsa, del cambiamento del respiro, della tensione, della sfida, della soddisfazione, anche dell'inciampo e di una possibile caduta. E, inesplorato, il campo è anche metafora dell'area dell'esistenza non percorsa.


Nel seguire una storia candida e feroce, Kronoteatro e Maniaci d'amore affermano l'interrogarsi su certe relazioni inedite e disperate, "perché le persone si uniscono per motivi non lineari e sul fondo di un rapporto può esserci il bisogno fragile e grandioso di costituire una realtà fittizia, in cui non esiste il fallimento né la morte. Una realtà che può restare in piedi solamente finché viene abitata dal compagno che siede accanto a te sulla panchina". La sinergia tra le due compagnie è nata nel 2021, con lo spettacolo "La Fabbrica degli Stronzi", lì rileggendo trame del reale tra paradosso e grottesco.



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