«Il tempo è quello che ci portiamo addosso, ma c'è anche un tempo interiore. Ad esempio io sono vecchia, però dentro di me c'è ancora una bambina». A pronunciare queste parole è Ariella Reggio, che ieri si trovava all'interno del museo della moda contemporanea di Trieste Its Arcademy. Da pochi giorni, dentro a una teca è esposto un vestito a lei molto caro: l'abito di scena dello spettacolo "La vecchia e la luna", che l'attrice interpretò nel 1980.
«Il copione – spiega Reggio – era nato dalla penna di Francesco Macedonio e raccontava una fiaba. La vecchia era un'anziana signora che girovagava con una gerla, per vendere oggetti di legno. Però era anche una specie di maga, perché attraverso la luna riusciva a fare un percorso a ritroso nel tempo. Così, mi trasformavo in una ragazzina, e poi diventavo addirittura una neonata».
Lo spettacolo era stato scritto per i bambini, ma piaceva anche agli adulti. «Al mattino – ricorda l'attrice – venivano tante scolaresche, poi facevamo le recite pomeridiane e allora la sala si riempiva di nonni e genitori. Posso dire che, rispetto ad allora, una cosa non è mai cambiata: i bambini a teatro hanno un'energia meravigliosa. Ancora oggi, nonostante i telefonini, sanno restare incantati dalle magie che accadono sul palcoscenico. Li vedo spalancare gli occhi, proprio come facevo anch'io da piccola. Il teatro fa ancora sognare».
Per l'artista, colonna portante del teatro triestino, l'affetto verso questo abito è fortissimo perché racconta degli inizi della compagnia teatrale "La Contrada": nata nel 1976, venne creata da Francesco Macedonio, Orazio Bobbio, Lidia Braico e dalla stessa Ariella Reggio, tutti fuoriusciti dall'allora Teatro Stabile di Trieste.
«In quel periodo – continua Reggio – non avevamo ancora una fissa dimora. Erano anni davvero eroici. E una delle persone più eroiche che ricordo era Renata Franchin, cioè la mamma di Barbara che ha fondato questo museo. Renata si prese l'incarico di gestire l'ufficio della nostra compagnia: si mise in una stanzetta che avevamo preso in affitto, con un telefono di quelli vecchi, e riuscì a vendere questo spettacolo in tutta Italia. Un'impresa incredibile per l'epoca: anche oggi, con tutta la tecnologia, è difficile riuscire a vendere uno spettacolo. E noi in quel periodo ne portavamo in giro due, perché c'era anche "Un sial per Carlotta", di Ninì Perno, dove recitava Sergio Endrigo.
Io giravo l'Italia con "La vecchia e la luna", mentre Orazio Bobbio e Lidia Braico si occupavano di quest'altra opera». Il Teatro Bobbio rappresenta la resilienza di chi crede nella magia del teatro opposta a un mondo sempre più digitale, e l'abito di Ariella Reggio è un messaggio ai giovani teatranti, un invito a credere in ciò che fanno senza scoraggiarsi di fronte alle difficoltà. Grazie all'importante significato che veicola, il vestito è entrato a far parte della mostra "Le molte vite di un abito" a cura di Olivier Saillard ed Emanuele Coccia e resterà esposto per un mese negli spazi di Its Arcademy, in via Cassa di Risparmio 10.
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