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Elisabetta Pozzi: “I confini continuano a tormentarci. Il testo di Dorfman parla ancora di noi” - LA REPUBBLICA 27/11/25

  • Immagine del redattore: La Contrada TeatroStabilediTrieste
    La Contrada TeatroStabilediTrieste
  • 1 giorno fa
  • Tempo di lettura: 2 min

di Sabrina Camonchia


L’attrice in scena al Duse da venerdì 28 novembre a domenica, con Gigio Alberti nello spettacolo “The Other Side”


Elisabetta Pozzi in The Other Side, una produzione La Contrada Teatro Stabile di Trieste
Elisabetta Pozzi in The Other Side

Quando uscì la critica scrisse che il libro di Ariel Dorfman raccontava una situazione assurda, paragonabile allo spezzettamento dei confini balcanici, al muro che divideva Berlino in due, al conflitto israeliano-palestinese. Adesso che di anni ne sono passati una ventina, “Dall’altra parte” va drammaticamente aggiornato e le vicende surreali narrate si potrebbero anche adattare alla guerra in corso fra Russia e Ucraina. Ci sono i confini, reali e immaginari, al centro dello spettacolo “The Other Side”, tratto dal libro dello scrittore argentino, che arriva al Teatro Duse dal 28 al 30 novembre (alle 21, domenica alle 16), con la regia di Marcela Serli che dirige Elisabetta Pozzi, Gigio Alberti e Nicola Ciaffoni. «È tutto terribilmente attuale - spiega l’attrice, alle prese con le prove in via Cartoleria - sono parole che ancora valgono perché le guerre sono attorno a noi, mentre mi pare che l’idea della pace sia sempre più lontana. I confini ci sono, nulla è superato e quello che vediamo fa rabbrividire».


Elisabetta Pozzi è una delle regine del teatro italiano. Dal debutto con Giorgio Albertazzi ai premi Ubu vinti, in scena ha interpretato Pirandello, Shakespeare, Sartre, Ionesco e i classici, da Sofocle a Euripide. Ha vinto un David di Donatello nel 1992 come miglior attrice non protagonista: era Adriana in “Maledetto il giorno che t’ho incontrato” di Carlo Verdone. «Da quando ho preso il premio, a parte cose piccole, non ho più fatto cinema, improvvisamente ho smesso, non so cosa sia successo».

La pièce mette in scena una coppia che vive in una casa sotto le bombe, fino a quel momento preservata perché è il loro domicilio: sono loro due a dover raccogliere i cadaveri dei soldati che vengono uccisi attorno a loro, vittime di una guerra di cui nulla si sa. «Questo è il loro lavoro, seppelliscono i morti della guerra cui assistono dalla loro casa». A un certo punto un militare fa irruzione nella loro abitazione. Da quel momento, per loro tutto cambierà. «La guardia è lì per tracciare il nuovo confine poiché nel frattempo è finita la guerra». Linea di demarcazione che si creano senza considerare letti matrimoniali, cucine, affetti, sentimenti. Con un filo elettrico improvvisato in mezzo alla casa, si stabiliscono nuove gerarchie. C’è la pace, le armi tacciono, ma i due sono spiazzati: hanno perduto il loro lavoro, non possono più guadagnare seppellendo i morti. «È un teatro dell’assurdo, profondamente grottesco, ma come sempre accade nei testi dei grandi scrittori questa sensazione la riconosciamo nel nostro vivere, magari non ci riguarda personalmente, ma riguarda realtà vicino a noi». Allegoria di tutti i muri, “The Other Side” è un atto di responsabilità. «Penso che gli artisti debbano prendere una posizione, io ultimamente lo ho fatto, anche perché lavoro all’interno del Teatro di Genova che si è schierato, ospitando anche i banchetti di Emergency». Chi fa teatro oggi, prosegue Pozzi, «non vive dentro una torre eburnea lontana dal mondo e da tutto, fare teatro è già in qualche modo schierarsi». Questo è quello che insegna ai suoi allievi, da direttrice della Scuola del Teatro di Genova.


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